Disclaimer: da Gennaio 2021 lavoro con Partita IVA per un'azienda inglese, le mie condizioni di lavoro sono meravigliose, come racconterò in futuri articoli. L'articolo analizza le condizioni di smart working dei dipendenti di molte aziende italiane, attingendo da esperienze vissute e racconti di amici e conoscenti.
Dall'inizio della pandemia COVID-19, "smart working" è diventata una parola molto utilizzata. Nel mondo informatico ne sentivo parlare già da parecchio tempo, ma la pandemia ha attualizzato questo termine anche in molti altri settori.
Analizzando varie esperienze con familiari e amici ho notato che in Italia spesso questo termine si usa nel modo sbagliato e sarebbe meglio affidarsi al termine "remote working", o "telelavoro".
Il remote working è il primo e unico step che molte aziende italiane si limitano a percorrere per permettere ai dipendenti di lavorare da casa come se fossero in ufficio, senza modificare l'approccio al lavoro.
I dipendenti che lavorano da casa si ritrovano a fare gli stessi orari e a subire la stessa inflessibilità dell'ufficio. Spesso, contrariamente a quanto si possa credere, le condizioni lavorative dei dipendenti peggiorano notevolmente, ecco alcune richieste realmente documentate:
- "visto che lavori da casa ed eviti il viaggio verso l'ufficio, puoi lavorare anche nell'orario in cui prima viaggiavi"
- "visto che hai il portatile a casa, puoi lavorare anche se sei in mutua"
- "ti contatto anche fuori orario lavorativo, tanto hai tutto l'occorrente per lavorare"
- "lavorare da casa è un benefit, quindi puoi fare più straordinari non pagati"
- "quando lavori da casa tieni sempre attivo Zoom"
- "quando lavori da casa tieni sempre attiva la condivisione del desktop"
Molte di queste cose, oltre ad essere moralmente discutibili e probabilmente illegali, mostrano una totale mancanza di fiducia e di rispetto verso il dipendente. Le aziende che utilizzano queste "motivazioni" si dimostrano molto furbe a sfruttare la situazione a loro vantaggio, senza realmente preoccuparsi della salute dei propri dipendenti.
Proviamo ad analizzare probabili "motivazioni" che le aziende utilizzano per giustificare questi comportamenti.
- "Il dipendente non è degno di fiducia"
Questo può essere vero, non tutti i dipendenti sono considerabili "buoni dipendenti", ma perché far pagare le conseguenze di questi comportamenti anche ai dipendenti che non lo meritano? La conseguenza più probabile di un comportamento del genere è una fuga generalizzata dei "buoni dipendenti" verso aziende che concedono loro una maggiore fiducia. Nel peggiore dei casi in azienda restano soltanto i dipendenti meno "rivendibili", abbassando notevolmente il livello qualitativo. Per i dipendenti che non sono degni di fiducia esistono lettere di richiamo e licenziamenti per giusta causa, punizioni giuste per le giuste persone.
- "Lavorare da casa è un benefit, in compenso il dipendente deve lavorare di più"
Un benefit per chi? Forse per l'azienda, così evita di doversi attrezzare per mantenere il distanziamento sociale?
Se tu azienda credi che riprodurre esattamente il lavoro da ufficio nell'ambiente di casa, ti sbagli di grosso. Un dipendente, per lavorare da casa e "bollare il cartellino" come se fosse in ufficio, deve estraniarsi completamente dall'ambiente domestico, da familiari, figli, distrazioni varie. Non tutti riescono a farlo con semplicità, non tutti riescono a dedicare una stanza apposita al lavoro, trovandosi costretti a lavorare in ambienti comuni (cucina, salotto, ecc...) dove ci potrebbero essere altre persone.
Inoltre il concetto di "lavorare di più" non sempre si identifica con un allungamento delle ore di lavoro, anzi, un approccio come questo rischia di produrre l'effetto opposto, cioè "faccio le stesse cose che farei in 8 ore, ma più lentamente". - "Come faccio ad assicurarmi che il dipendente stia realmente lavorando?"
Come faresti in ufficio? Ti metteresti davanti al dipendente a guardarlo in faccia per 8 ore consecutive? Oppure dietro il suo monitor a guardare esattamente cosa fa per 8 ore?
Potrebbe essere il caso di ridefinire i parametri per analizzare la produttività di un dipendente, iniziando a lavorare per obbiettivi che siano umani.
Al momento non riesco a pensare ad altre possibili "motivazioni", nella maggior parte dei casi ho notato che le aziende tendono ad approfittare della situazione a proprio vantaggio, senza tenere in considerazione i diritti dei dipendenti.
Finisce qui il primo articolo, nel prossimo vedremo le differenze tra "remote working" e "smart working", e come la situazione potrebbe migliorare sia per le aziende sia per i dipendenti.